Quella di Andrea Cabassi è una storia di cambiamento e rivalsa, una storia che merita decisamente di essere raccontata. Andrea, infatti, arrivato alla soglia dei 40 anni, decide di dare un cambiamento netto alla sua vita.
Con un lavoro ben retribuito in Italia, decide di mollare tutto e di spostarsi a Dubai per ricoprire un ruolo manageriale. Da questo piccolo, grande, cambiamento, la sua vita viene decisamente stravolta.
Le circostanze, e le sue coraggiose decisioni, lo porteranno a viaggiare via terra per tutto il Sudamerica e a cambiare totalmente il suo stile di vita, diventando a tutti gli effetti scrittore e formatore.
Ho avuto l’opportunità di intervistarlo per approfondire i diversi passaggi del suo cambiamento e le ragioni che lo hanno portato a stravolgere, in positivo, la sua vita.
Buona lettura, e che la storia di Andrea possa essere d’ispirazione per tutti coloro che sognano una vita diversa e fuori dagli schemi.
– Buongiorno Andrea è un piacere poterti intervistare. Una delle primissime cose che mi ha impressionato della tua storia è il voler cambiare vita nonostante la tua patologia. Dicevi di soffrire di Colite Ulcerosa, ecco, quanto questa condizione influenza o ha influenzato la tua vita?
Ciao, il piacere è mio. La Colite Ulcerosa ha direttamente condizionato la mia vita a fasi alterne nel senso che, trattandosi di una patologia cronica, durante le recidive si è rivelata invalidante, limitando di fatto la possibilità di fare qualsiasi cosa mi passasse per la testa. Indirettamente però ha influenzato la mia vita in modo significativo in quanto mi ha messo di fronte al valore della salute, che spesso diamo per scontata, contribuendo a darmi il coraggio di fare importanti scelte di cambiamento prima che fosse troppo tardi. Non si sa mai che un bel giorno volesse risvegliarsi…
– Il tuo è stato quello che potremmo definire uno stravolgimento radicale. A 40 anni hai deciso di lasciare il tuo lavoro ben retribuito in Italia per una posizione manageriale a Dubai. Cosa ti ha spinto a questo cambiamento così importante?
Durante l’infanzia veniamo programmati, in totale buona fede, dagli adulti che prendiamo a modello: genitori, parenti, insegnanti, tate, baby-sitter, tutor del centro estivo, ecc. Il risultato è che vengono inculcati nel nostro subconscio paradigmi che detteranno le regole della nostra vita, la nostra capacità di prendere decisioni, la nostra propensione al rischio, i nostri valori e i princìpi secondo i quali stabilire cos’è giusto e cosa non lo è.
Morale della favola: mi sono diplomato e ho selezionato la facoltà universitaria sulla base delle mie predilezioni e sui potenziali sbocchi professionali come dipendente, senza la necessaria consapevolezza dell’impatto pluridecennale che tale scelta ha sull’esistenza di una persona, senza cioè sapere che stavo mettendo la mia vita in una strada sulla quale, piaccia o no, è normale rimanere finché “pension non ci separi”.
Uscirne prima richiede un’alternativa, coraggio, abnegazione e perseveranza. Carriera brillante, tanti interessi, decine di amici. Nessun figlio, ma sulla carta era tutto proprio “figo”. Tuttavia non mi sentivo appagato, c’era qualcosa che non girava ma non riuscivo a darle un nome. È impossibile capire un concetto se non trovi le parole per descriverlo. Avrei voluto vivere la vita senza lasciare che la vita vivesse me. Tale presa di coscienza mi ha portato a mollare tutto per trasferirmi a Dubai, spinto dall’idea che cambiare Paese mi avrebbe aperto nuovi orizzonti, grazie anche al fatto che lo stipendio era circa quattro volte superiore a quello italiano.
Uno stravolgimento complicatissimo, le mie certezze messe in discussione a un’età nella quale il mondo si aspetta che tu metta la testa a posto e che ho dettagliatamente raccontato in Permettimi d’insistere – Ho cambiato vita a 40 anni, il mio esordio editoriale. Una scommessa vinta, che mi ha portato un grande stato di serenità. In parte già sentivo, ma ancora non sapevo, che quello sarebbe stato il primo grande passo di una rivoluzione totale della mia vita.
– A Dubai ci sei stato per due anni, prima di prendere un anno sabbatico e partire per il Sudamerica. A cosa è dovuta questa scelta di lasciare temporaneamente quel lavoro?
A Dubai guadagnavo davvero tanto, ma il costo della vita è significativamente superiore a quello italiano. Le scorrazzate tra le dune, una griglia, un paio di birre, un fuoco, una chitarra e fiumi di stelle mi aiutavano ad anestetizzare la settimana lavorativa visto che, per permettermi quella baraccata di spese, danzavo tra budget, riunioni, conti economici, teleconferenze, fogli di calcolo, scadenze, report, cantieri, clienti pressanti e giornate di formazione. Gli azionisti imponevano un’instancabile crescita annua e, ovviamente, profitto. Il sistema di mercato del modello occidentale spinge questo fenomeno all’esasperazione e ha finito col controllare le nostre vite. I fattori si sono invertiti: non è più l’uomo a controllare il mercato, ma viceversa.
Risultato: seppur non mi ammazzassi di straordinari e considerando i trasferimenti casa-ufficio, il lavoro mi occupava cinquanta ore a settimana. Aggiungendo una media giornaliera di sette ore e mezza di sonno e cinque per altri doveri (spesa, pasti, cura personale, incombenze varie, ecc.), considerando ventidue giorni di ferie (nei quali comunque ci si aspettava che a qualche telefonata o e-mail lavorativa rispondessi) e tredici di festività annue, il mio tempo libero era attorno al 6% delle giornate lavorative e al 20% di quello disponibile in un anno. Solamente in un quinto del mio tempo ero sveglio e libero di scegliere cosa fare. Pochissimo! Fermati un attimo. Hai notato che ho scritto “tempo libero”? Quindi il restante dovremmo chiamarlo “tempo imprigionato”? Stando alle regole del gioco e ipotizzando con incauto ottimismo di potermi ritirare a settant’anni – ti è concesso ridere di gusto – me ne rimanevano almeno ventotto di simile delirio. Intuii di essermi lasciato ingabbiare da un sistema che m’induceva a scambiare la maggior parte della mia vita in attività che non contribuivano alla mia felicità, in cambio di denaro. D’un colpo mi fu chiaro che stavo sprecando il mio bene più prezioso – il tempo per l’appunto – rimandando la realizzazione dei sogni all’età della pensione, ammesso di arrivarci, di averne una e dando per scontato che mi sarei ricordato di fare ciò che mi andava trent’anni prima, a patto di averne ancora la forza e la voglia. Barattavo la possibilità di realizzare cose meravigliose, che avrei potuto NON fare nel futuro, con situazioni deliranti che mi accadevano nel presente.
– Per un anno hai percorso, via terra, tutto il Sudamerica. So che non è facile racchiudere un’esperienza così intensa in poche parole ma voglio chiederti: c’è un momento specifico (o dei momenti) di quel viaggio che porti particolarmente nel cuore?
Mi trovavo in Perù e venivo da tre intensissime giornate a un workshop di 5Ritmi, una forma di meditazione danzante. Unico inquilino della camerata nel mio ostello di Barranco, assaporavo una dormita da Guinness dei primati, inconsapevole che il viaggio stava per regalarmi l’ennesimo miracolo. Una tempesta di vita e colore invase la stanza. Sette clown, sette figuri truccati e rumorosi. Erano italiani, tre di loro di Parma. L’accento di casa, quando sei lontano, è infinitamente rassicurante. L’emozione, raccontandoci le rispettive avventure coi piedi sotto la tavola, sconfisse la mia spossatezza. Erano in missione per una Onlus. Giocavano con bimbi meno fortunati di altri nella loro missione di Huaycan, favela della capitale peruviana. Confessai di voler un giorno fare altrettanto, ispirato da un romanzo letto qualche settimana prima. “Perché aspettare? Unisciti a noi domani. Di nasi rossi ne abbiamo in abbondanza!”. Estrassi il biglietto del bus che l’indomani mi avrebbe portato alla tappa successiva e, con inutile solennità, lo strappai. Carpe diem.
Strade perlopiù senza asfalto, tappeti di polvere, bambini sporchi, in quelle ore mancava pure l’acqua corrente. Il clima di festa se ne fregò, si giocava tutti insieme spensierati. Nascondino, strega comanda color, palla bollata. Divenni il supereroe di alcuni, insegnando a fare una rana con gli origami. I Magnifici Sette (clown) sono persone meravigliose, mi infilarono un naso rosso a centro viso, facendomi sentire immediatamente parte della squadra. Mi regalarono una maglietta, che avrei a mia volta donato a un fanciullo amazzone, e mi dedicarono una poesia. Cucinammo nella loro guesthouse una delle peggiori paste al pomodoro che ricordo. Ma la divorai, sapeva di condivisione. Il sonno che seguì fu profondo, accompagnato dall’appagante sensazione di aver donato tempo a una buona causa. Avrei fatto volentieri a meno di rientrare a Lima in solitaria, coi mezzi pubblici, da una bidonville fitta di spacciatori nella quale ero l’unico con tratti somatici occidentali. Tre autobus, tre ore per fare trenta chilometri. Sebbene fossi circondato da personaggi apparentemente poco raccomandabili, non vi furono problemi, a conferma che l’abito non fa il monaco e che il mondo è meno pericoloso di come lo immaginiamo e di come ce lo raccontano. Ebbi anzi la grande opportunità di conoscere il lato povero della città. Una realtà che, dalle comodità dei ricchi quartieri occidentalizzati, non si percepisce.
Ho raccontato questa e tante altre esperienze nel mio nuovo libro “Non so se mi spiego – Da manager a Dubai a viaggiatore in Sudamerica”, pubblicato a giugno 2021 con la prefazione di Claudio Pelizzeni.
– Alla fine del viaggio hai deciso di non tornare in azienda, licenziandoti, e inseguire i tuoi sogni. Di sicuro ci sono diversi insegnamenti lasciati da quell’esperienza dico bene?
Confermo. Su tutti il fatto che non è necessario avere tutto sotto controllo nel momento in cui si decide di iniziare un nuovo progetto ma, così come in viaggio ogni giorno mi trovai il modo di risolvere nuovi piccoli o grandi problemi, anche nell’avviamento nella mia nuova professione di autore e coach ho attuato lo stesso approccio. Non significa che sono partito alla “spera in Dio”, anzi, ma nemmeno con la pretesa di aver risolto in partenza tutte le incognite.
-Una delle domande che maggiormente si pongono le persone quando ascoltano queste storie di cambiamento è “E poi?”. Qual è stato il tuo “e poi” dopo esserti licenziato?
Premetto che NON si può sapere con sicurezza cosa si farà dopo, anche per il fatto che un viaggio così lungo ti cambia significativamente, ma con ragionevole certezza è possibile ritenere che qualcosa si farà.
Il mio “e poi” si è materializzato strada facendo, concretizzandosi nella mia attuale attività di scrittore e life-coach. Da poco sono entrato anche nel settore della formazione con video-corsi. La mia mission è quella di aiutare i sognatori a far succedere le cose che desiderano, sognando con metodo per prevenire la possibilità di fare il passo più lungo della gamba. Una delle caratteristiche fondamentali che ha il mio lavoro è quella di essere location independent, offrendomi cioè la possibilità di lavorare da ovunque ci sia una connessione internet sufficientemente stabile.
– Ora hai in programma altri viaggi o progetti per il futuro?
Dal punto di vista professionale, consolidare le attività di autore, coach e formatore. Dal punto di vista viaggi, sono in vigile attesa di capire la piega che prenderà il mondo a causa della pandemia. Confesso che le modalità di gestione adottate finora dalla politica, sia a livello italiano che internazionale, mi preoccupano parecchio. Nel frattempo faccio base a Porto, in Portogallo. Trovandomi in un Paese straniero e in una città che non conoscevo, anche nella stanzialità mi sento comunque in viaggio.
– Voglio concludere l’intervista con una domanda a cui, mi rendo conto, non sempre è facile rispondere. Ad oggi senti di essere realmente felice?
Sostituirei la parola “felice” con “sereno”. Credo che l’obiettivo vero sia la serenità, con picchi verso l’alto di felicità e picchi verso il basso di tristezza, senza la quale la felicità non esisterebbe. La risposta è sì, sono sereno perché ogni giorno che passa mi sento sempre più sulla strada giusta. A conferma di ciò c’è il fatto che, nelle ultimissime battute del mio secondo viaggio sabbatico (nel Sudest Asiatico, dopo l’esperienza Sudamericana) ho conosciuto la mia attuale compagna, che stava facendo un’esperienza analoga alla mia. Della serie “fai ciò che ti piace fare e troverai persone simili a te”.
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